La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24160 del 4.10.2018, ha chiarito in quali termini sia dovuta la restituzione delle spese sostenute esclusivamente da uno dei coniugi per un immobile in comproprietà, quando sia intervenuta la separazione personale.
Nel caso di specie, l’immobile cointestato, che successivamente veniva dato in affitto, era stato acquistato e rifinito con fondi propri di uno dei coniugi.
I giudici della Suprema Corte ribadiscono innanzitutto l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il conferimento di denaro da un coniuge ad un altro, per l’acquisto di un immobile, costituisce una donazione indiretta. Pertanto tale conferimento persegue un fine di liberalità e sarà, dunque, soggetto ai soli obblighi del negozio per mezzo del quale si realizza, mentre sarà revocabile unicamente per ingratitudine.
Tenuto conto di questa consolidata scelta esegetica, nell’ordinanza citata si rileva come, a maggior ragione, lo spirito di liberalità proprio della donazione debba riscontrarsi anche nelle spese sostenute, in costanza di matrimonio, da uno dei coniugi, per apportare miglioramenti all’immobile di cui ha fatto acquistare la proprietà all’altro.
Tuttavia, i giudici di legittimità, ed è questo il punto di maggiore interesse, distinguono tra le spese operate nel corso del matrimonio e quelle intervenute successivamente alla separazione personale dei coniugi. Di fatti, precisano, la finalità propria della donazione, la liberalità, non può rinvenirsi automaticamente nei conferimenti operati dopo la separazione, per cui tali spese, si precisa ulteriormente, dovranno essere considerate alla stregua di pagamenti effettuati “da uno dei comproprietari in favore del bene in comunione”.