Sul finire di gennaio, il Tribunale di Busto Arsizio ha dichiarato la nullità di un contratto di mutuo fondiario, in forza del quale un istituto di credito italiano aveva finanziato un progetto di edificazione, nel Comune di Gallarate, di un compendio immobiliare composto da 3 distinti corpi di fabbrica, a loro volta contenenti 38 appartamenti, 39 cantine e 45 box.
Il valore complessivo degli immobili veniva quantificata dalle parti in € 9.000.000,00 e la restituzione delle somme mutuate veniva garantita, come di consueto, dall’iscrizione dell’ipoteca sulle opere già presenti nell’area e, soprattutto, su quelle da realizzare. Con il medesimo accordo, le parti stabilivano che la corresponsione degli importi sarebbe avvenuta per stati di avanzamento dei lavori.
Nel corso dei lavori, però, la mutuataria interrompeva il pagamento delle rate di mutuo, così la mutuante agiva esecutivamente, notificando atto di precetto sulla base del contratto di mutuo fondiario, valevole come titolo esecutivo.
Da qui originava il giudizio di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., con la quale la mutuataria chiedeva estinguere la procedura esecutiva, giacché la stessa era stata proposta in forza di un titolo nullo.
Il Giudizio veniva istruito espletando una CTU volta a stimare il valore del compendio ipotecato, dalla quale si ricavava che il valore di mercato complessivo riferito agli “edificandi” beni immobili oggetto di garanzia alla data di stipula del contratto di mutuo (29.1.2008) era stimabile in € 6.514.630,00. Ne derivava che il limite di finanziabilità previsto dall’art. 38 T.U.B. avrebbe dovuto fissarsi nella misura massima di € 5.200.000,00, a fronte dei € 7.000.000,00 finanziati. Dovendosi valutare, in tale ipotesi di stima, il c.d. mortgage lendig value (MLV), cioè il valore determinato dal prudente apprezzamento della futura negoziabilità dell’immobile oggetto di garanzia rispetto ad una più speranzosa valutazione sui valori di libera negoziazione.
Difatti, l’art. 38, comma 2 T.U.B., letto in combinato disposto con la successiva Delibera CICR 22.4.1995, impone, per costante orientamento giurisprudenziale a pena di nullità nell’ipotesi di sforamento, che l’ammontare massimo dei finanziamenti di credito fondiario sia pari all’80 % del valore dei beni ipotecati o del costo delle opere da eseguire sugli stessi.
Tale previsione, del resto, trova la sua giustificazione nella salvaguardia di interessi pubblici, impedendo che gli enti finanziatori concedano crediti per un valore superiore a quello degli immobili costituiti in garanzia. “L’interesse dei contraenti, quindi, è destinato a soccombere di fronte ad un interesse pubblico di salvaguardia della stabilità del mercato attraverso la stabilità del singolo rapporto di mutuo garantito, per evitare di esporre il sistema ad una serie di devastanti conseguenze riconducibili alla crisi degli operatori creditizi, con costi ed oneri di salvataggio abitualmente posti a carico dell’erario”.
In forza di tali argomentazioni, aderendo al consolidato orientamento giurisprudenziale in punto di nullità del mutuo fondiario per violazione dell’art. 38 T.U.B. (cfr. Cass. 17532/2017; Cass. 6568/2018), il Tribunale lombardo ha dichiarato l’inefficacia dell’accordo fra le parti, evidenziando, in modo davvero deciso ed inequivoco, la sussistenza dell’inutilità del credito concesso in violazione di norme (nella specie quella contenuta nell’art. 38 T.U.B.) poste a tutela di interessi di ordine (economico) pubblico e di stabilità dei mercati.