Quando la tenuta incompleta delle scritture contabili integra il reato di bancarotta fraudolenta?
Di recente, la Corte di Cassazione è intervenuta sul punto, ricostruendo il perimetro applicativo dell’attuale art. 216 L. Fall., trascritto all’art. 322 del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, stabilendo che anche la tenuta della contabilità aziendale a “macchia di leopardo” – cioè tenuta solo per alcuni libri o solo per alcuni periodi – integra il reato di bancarotta fraudolenta documentale.
IL FATTO E LE CONTESTAZIONI
Con sentenza del 24 luglio 2020, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Pistoia del 7 luglio 2015, aveva condannato due soci accomandatari di una società fallita alla pena di tre anni ciascuno di reclusione per il reato di bancarotta fraudolenta documentale ex art. 216 comma 1 n. 2 della Legge fallimentare, per aver tenuto la contabilità della Società in modo da non consentire la ricostruzione del patrimonio reale e del movimento degli affari.
Avverso la sentenza della Corte di appello veniva proposto ricorso per cassazione da parte di entrambi gli imputati poiché, a loro avviso, le scritture contabili non erano state ben tenute per una generale negligenza, al più configurabile come ipotesi di bancarotta semplice ex art. 217 della Legge fallimentare.
IL QUESITO
Alla Corte di Cassazione, dunque, è stato chiesto di pronunciarsi sul se l’incompletezza delle scritture contabili – dipendente – ad avviso degli imputati – da fattori esterni, ossia dal sequestro – nell’ambito di un diverso procedimento penale – dell’albergo in cui sarebbe stata custodita tutta la contabilità originale e dai furti e atti di vandalismo perpetrati in tale struttura, fosse di per sé idonea a giustificare il compimento del reato di bancarotta fraudolenta documentale.
Nel rispondere a tale quesito, però, la Corte non ha potuto che tener conto di quanto appurato nel corso dei precedenti gradi di merito, e cioè che: il libro degli inventari era stato tenuto correttamente solo fino ad una certa data, peraltro molto antecedente alla dichiarazione di fallimento; che il registro IVA era in parte mancante, in parte compilato parzialmente, peraltro con mere annotazioni e senza registrazioni.
LA RISPOSTA DELLA CASSAZIONE
Con la sentenza n. 44637/21, la V sezione penale della Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibili i ricorsi perché generici e manifestamente infondati, ha ribadito quanto già espresso con riferimento alle conseguenze derivanti dalla tenuta “a macchia di leopardo” della contabilità d’impresa.
Con tale dicitura intendendo la presenza di una contabilità soltanto per certi periodi e non per altri, ovvero per alcuni libri e per talune annualità.
La Corte ha quindi esplicitato che tale gestione frammentata della contabilità si mostra idonea a integrare il reato di bancarotta fraudolenta documentale ex art. 216 n. 2, seconda parte, L. Fall., essendo lo stato delle scritture tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio.
Tali considerazioni hanno consentito di concludere per la responsabilità degli imputati per il reato di cui all’art. 216 L. Fall, avendo i soci/amministratori tenuto la contabilità in modo parziale e incompleto, tanto da non consentire, come evidenziato dal curatore, di ricostruire il patrimonio sociale ed il movimento degli affari della società fallita.
BANCAROTTA FRAUDOLENTA DOCUMENTALE E VOLONTÀ DEL REO
Per altro verso, nello spiegare le proprie difese, gli imputati hanno altresì sostenuto la mancanza del dolo nel commettere il reato, cioè dell’assenza di volontà e consapevolezza nella violazione della legge in materia di corretta tenuta della contabilità d’impresa.
A tal proposito, però, i Giudici di Piazza Cavour hanno evidenziato come la circostanza che la contabilità fosse stata nel corso degli anni redatta in maniera incompleta rappresentasse una prova non solo della sussistenza dell’elemento materiale del delitto ma anche del profilo soggettivo dell’impedimento alla ricostruzione del patrimonio della società.
Del resto, in tema di bancarotta fraudolenta documentale ex art. 216 L. Fall., per costante giurisprudenza, il dolo (anche generico) deve essere desunto delle modalità della condotta contestata e non solo dal fatto che costituisce l’elemento materiale del reato, cioè il fatto che la tenuta delle scritture sia tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio.
Ove, con dolo generico si intende la consapevolezza, in capo all’imputato, che la tenuta incompleta delle scritture contabili renderà o sarà in grado di rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio. Non è invece necessaria la specifica volontà di impedire la ricostruzione dello stesso.
In conclusione, è dunque chiaro che, in virtù dell’attuale quadro giurisprudenziale in materia, la presenza di una “consapevole” tenuta disordinata, parziale e incompleta delle scritture contabili, espone gli amministratori della Società a serie conseguenze sotto il profilo penale, indipendentemente dal fatto che la finalità sottesa al disordine sia eminentemente fraudolenta.
Quadro giurisprudenziale e normativo che, si sottolinea, non sarà destinato a cambiare con l’avvento del nuovo Codice della crisi dell’Impresa e dell’insolvenza, che sul punto conferma quanto in precedenza esplicitato.
Ulteriori aspetti relativi alle novità in materia di crisi d’impresa sono state trattate nel nostro Blog al seguente link:
Il testo del reato di bancarotta fraudolenta ex art. art. 216 L. Fall. Illustrato è consultabile al seguente link:
https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:regio.decreto:1942-03-16;267!vig=
Per un raffronto tra la normativa attualmente vigente e le novità introdotte dal CCII:
http://www.centrocrisi.it/materiali/