Le Sezioni Unite, con la sentenza in commento, hanno attribuito all’assegno di divorzio funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa.
La Cassazione a Sezioni Unite, con la pronuncia n. 18287, depositata ieri, ha posto fine alla enorme incertezza venutasi a creare, da un anno a questa parte, dopo la nota sentenza cd. Grilli (n. 11504 del 2017), che sembrava avere di fatto escluso la possibilità di riconoscere il diritto all’assegno divorzile a tutti quei divorziandi che avessero una occupazione, bastando ad escluderlo il semplice fatto che fossero economicamente autosufficienti.
Le Sezioni Unite, con la sentenza in commento, hanno attribuito all’assegno di divorzio funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa.
Ciò significa che i Giudici chiamati a decidere sulla domanda di assegno divorzile d’ora in poi dovranno applicare un criterio composito di determinazione dell’assegno, che, alla luce della valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali dei coniugi, consideri i seguenti indicatori:
- il raggiungimento di un grado di autonomia economica tale da garantire l’autosufficienza al richiedente;
- la sussistenza di livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, della durata del matrimonio e dell’età del richiedente.
Di conseguenza sono venuti meno sia il vecchio criterio del tenore di vita, sia quello ultimo della mera autosufficienza economica,venendosi a creare un bilanciamento tra il principio di solidarietà familiare e quello di autoresponsabilità di ciascuno degli ex coniugi: insomma, una soluzione sicuramente più equa (per lo meno nelle intenzioni).
Gli indicatori suggeriti dalle Sezioni Unite, infatti, hanno come scopo di far valutare se l’eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi all’atto dello scioglimento del vincolo sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione dell’assunzione del ruolo trainante dell’altra.
Quindi, non basterà che ci sia una disparità economico patrimoniale tra i coniugi, ma i Giudici saranno chiamati a valutare se su tale disparità abbia inciso il matrimonio, per la sua durata, la distribuzione dei carichi familiari, gli apporti personali, il condizionamento che le scelte familiari possano avere avuto sulla vita lavorativa di ciascun coniuge.
Vedremo in futuro come le pronunce dei Tribunali di merito terranno conto di tali criteri.