Nel contesto della separazione con addebito, uno degli aspetti più delicati riguarda la possibilità di dimostrare la responsabilità di uno dei coniugi nella fine del matrimonio. Con l’aumento dell’uso di strumenti digitali, capita sempre più spesso che un coniuge tenti di dimostrare infedeltà o altre violazioni dei doveri matrimoniali attraverso il contenuto di chat private. Ma non sempre ciò che si scopre può essere utilizzato in giudizio.
Su questo punto è intervenuta la Cassazione con l’ordinanza n. 4530 del 20 febbraio 2025, chiarendo in modo definitivo che le chat acquisite in modo illegittimo non possono giustificare l’addebito della separazione.
Cos’è l’addebito nella separazione e quando si applica
L’addebito della separazione costituisce un istituto giuridico di particolare rilevanza, attraverso il quale il giudice, nell’ambito di una procedura di separazione giudiziale, individua in capo ad uno dei coniugi la responsabilità esclusiva – o concorrente – della cessazione della comunione morale e, quindi, della crisi matrimoniale.
Affinché possa essere pronunciata una sentenza di separazione con addebito, è necessario accertare la violazione di specifici doveri coniugali, così come delineati dall’articolo 143 del codice civile, tra cui l’obbligo di fedeltà, l’assistenza morale e materiale, la collaborazione nell’interesse della famiglia e la coabitazione.
Tuttavia, la mera violazione di tali obblighi non è di per sé sufficiente. È imprescindibile dimostrare che la condotta contestata abbia rappresentato la causa determinante e immediata della crisi coniugale e, dunque, della conseguente separazione. In altre parole, occorre provare un nesso causale diretto tra il comportamento contrario ai doveri matrimoniali e l’intollerabilità della prosecuzione della vita coniugale.
Le conseguenze giuridiche dell’addebito nella separazione:
La pronuncia di addebito non si limita ad una mera attribuzione morale di responsabilità, ma comporta effetti giuridici ben definiti e rilevanti sul piano patrimoniale e successorio.
Il coniuge al quale viene addebitata la separazione perde, innanzitutto, ogni diritto successorio nei confronti dell’altro coniuge. Ciò significa che, in caso di decesso dell’ex coniuge, non potrà vantare alcuna pretesa sull’eredità, neppure nelle forme residuali previste dalla legge per il coniuge separato senza addebito.
Ulteriore conseguenza riguarda l’assegno di mantenimento. Il coniuge cui viene addebitata la separazione non ha diritto a percepirlo, salvo il caso in cui versi in stato di bisogno e sia comunque titolare del diritto agli alimenti, che rappresentano una forma di assistenza minima e non certo un mantenimento ordinario.
Infine, la parte soccombente è generalmente tenuta a sostenere le spese legali del giudizio, salvo diversa valutazione del giudice in merito alla compensazione delle stesse.
Si tratta, quindi, di effetti di non poco conto, che rendono l’istituto dell’addebito particolarmente delicato e da affrontare con la massima attenzione, soprattutto in fase probatoria.
Il confine tra prova e violazione della privacy
L’ordinanza della Suprema Corte ha stabilito un principio fondamentale: se un coniuge preleva senza consenso le chat dal dispositivo dell’altro, queste conversazioni non possono essere utilizzate per dimostrare la responsabilità nella separazione. Nemmeno la dichiarazione di un testimone che afferma di aver saputo dell’esistenza di un presunto accordo verbale tra i coniugi per lo scambio delle credenziali può legittimare tale acquisizione.
In altre parole, una prova ottenuta violando la privacy resta una prova illecita, e per questo motivo è completamente inutilizzabile in giudizio. Anche se il contenuto delle chat fosse compromettente, il modo in cui è stato acquisito rende quella prova priva di qualsiasi valore legale.
Il nostro ordinamento tutela in modo rigoroso il diritto alla riservatezza e impone che ogni prova venga raccolta nel rispetto della legge. Non esiste alcuna deroga che consenta di utilizzare materiale ottenuto in violazione di questi principi, nemmeno quando si tratta di dimostrare una condotta grave come l’infedeltà coniugale. Questo significa che, anche di fronte a comportamenti moralmente discutibili, il giudice non potrà mai fondare una decisione sull’addebito utilizzando elementi acquisiti senza il consenso del coniuge o senza un’autorizzazione legittima.
Conclusioni:
Con l’ordinanza n. 4530 del 2025, la Cassazione ha voluto ribadire un concetto essenziale: anche nei momenti di maggiore conflittualità, come una separazione, è necessario rispettare la legge. Le chat acquisite senza consenso non possono mai costituire la base per un addebito. La pronuncia in questione rappresenta un importante punto di riferimento per evitare che il desiderio di “dimostrare” qualcosa porti a commettere errori che, alla fine, si ritorcono contro chi li ha compiuti.