Le problematiche in materia di sicurezza sul lavoro connesse alla pandemia da COVID- 19 sono varie e complesse.
Con l’approssimarsi del termine di avvio della c.d. fase 2 è opportuno valutarle attentamente, al fine di individuare valide soluzioni operative che consentano la ripresa delle attività produttive e commerciali con la maggior tranquillità possibile.
1) La prima questione è quella dell’operatività dell’Assicurazione sociale gestita dall’I.N.A.I.L..
In proposito va confermato che se un dipendente contrae il Covid-19, tale evento va qualificato come infortunio sul lavoro, qualora si ritenga che il contagio sia avvenuto “in occasione di lavoro”.
Anzi per alcuni tipi di attività vi è una presunzione in tal senso e cioè che il contagio sia avvenuto al lavoro, come per gli addetti alle professioni sanitarie e per il personale non sanitario operante all’interno delle strutture sanitarie con mansioni tecniche, di supporto, di pulizia, di trasporto infermi, tutti lavoratori per i quali si può parlare di un rischio specifico di contrarre il virus.
Tale presunzione opera anche per altre attività lavorative, come quelle che comportano il costante contatto con il pubblico/l’utenza come per chi opera in front-office, alla cassa, per gli addetti alle vendite/banconisti, per i tassisti ecc.
Nelle altre ipotesi e cioè per i lavoratori che svolgono mansioni che non implicano un maggior rischio di contagio rispetto ad ogni altra attività della vita quotidiana, sarà il medico a stabilire se il contagio è avvenuto in occasione di lavoro e dunque costituisca infortunio sul lavoro (o meno), utilizzando i normali parametri elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
In tutte le ipotesi sopra citate, qualora il lavoratore si ammali e risulti positivo al Coronavirus, bisogna effettuare la denuncia di infortunio all’INAIL.
2) Ciò non significa però che il datore di lavoro debba rispondere necessariamente delle conseguenze dannose riportate dal lavoratore a seguito del Covid-19, quali l’inabilità al lavoro, l’invalidità o addirittura la morte.
La responsabilità dell’azienda in caso di infortunio sul lavoro sorge solo se l’ambiente lavorativo non garantisce a pieno la salute e l’incolumità degli addetti che vi operano, cosa che si verifica allorquando non sono state applicate tutte le misure di sicurezza.
Queste ultime sono di due tipi:
- a) quelle imposte specificamente dalla legge;
- b) quelle ulteriori messe a disposizione dalla scienza e dalla tecnica, che il datore di lavoro ha l’obbligo di individuare ex art. 2087 c.c. e D.Lgs. 81/08 ed applicare per ridurre il rischio di infortunio.
Tra le misure sub a) e cioè quelle previste dalla normativa vigente rientrano, nel caso che ci occupa, quelle stabilite nei decreti legge o ministeriali che disciplinano le precauzioni da adottare per la ripartenza delle attività economiche nella c.d. fase 2.
Tra le misure sub b) vanno invece ricomprese quelle inserite nel Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), che il datore deve elaborare autonomamente, individuando i principali rischi connessi alle attività che si svolgono all’interno della propria impresa e le conseguenti misure preventive da adottare al fine di eliminare o comunque ridurre tali rischi.
3) Il punto centrale della discussione che si è oggi aperta su tale fronte è quello sulla riconducibilità o meno del Covid-19 all’interno del c.d. “rischio professionale”, quello cioè che il datore di lavoro deve inserire nel proprio DVR.
Fatta eccezione per le aziende che operano nel settore sanitario e per tutte le attività ad esse complementari, per le quali senza dubbio esso si configura come un rischio professionale, per tutte le altre imprese la questione è oggetto di contrapposte tesi.
Se è vero infatti che il contagio da Coronavirus avvenuto “in occasione di lavoro” viene qualificato come infortunio tutelato dall’Inail, è anche vero che esso non è un rischio conseguente o comunque legato all’attività di lavoro ed alle sue peculiarità, nel senso che esso è presente in ogni atto della vita quotidiana che ci esponga al contatto con i terzi.
Sotto questo profilo si tratta di un rischio generico e non specifico dell’ambiente di lavoro.
L’organizzazione dei fattori produttivi, la cui sicurezza deve essere garantita dal datore di lavoro, va qualificata nel caso di specie non come “fonte” di rischio, quale è concepita nel Testo Unico, ma come un mero “veicolo” per la diffusione del contagio, il quale, lungi dall’originarsi in seno all’azienda, trova in essa null’altro che uno strumento per la propria propagazione, la quale, in quanto tale, potrebbe aver luogo tanto in azienda, quanto altrove.
Bisogna dunque tenere conto, anche per il caso del Covid-19, della distinzione, elaborata nell’ambito del diritto della sicurezza sul lavoro, tra rischi endogeni o professionali e rischi esogeni, a seconda che la fonte da cui si origina il pericolo derivi dall’interno dell’azienda, come può avvenire nell’impiego di un agente patogeno nell’ambito del ciclo produttivo, oppure viceversa dall’esterno di essa, e sia dunque completamente scollegato dai suoi fattori organizzativi.
Così ragionando non si potrà che concludere che il rischio contagio da Coronavirus sia un rischio esogeno o generico e, come tale non deve essere previsto e valutato nell’ambito del DVR, al pari del rischio di contrarre l’influenza o il morbillo.
4) Da quanto detto derivano i seguenti corollari:
- a) il datore di lavoro dovrà sempre adottare, come già esposto al punto 2), tutte le misure di sicurezza previste dalla normativa vigente in tema di prevenzione del contagio da Covid-19 e distanziamento sociale;
- b) il datore di lavoro non ha un obbligo generale di aggiornare il proprio Documento di Valutazione dei Rischi con riferimento al Covid-19 e potrà dunque esimersi dal farlo, avendo cura, tuttavia, di organizzare – di concerto con l’RSPP aziendale, l’RSL, il medico competente e con tutte le figure coinvolte nella gestione della sicurezza – misure finalizzate ad aumentare il livello di sicurezza all’interno dell’azienda, in particolare valutando preventivamente lo stato di salute dei lavoratori da reinserire nel ciclo produttivo, prevedendo uno specifico protocollo di sorveglianza sanitaria e predisponendo un piano di emergenza in caso di rischio di contagio, che disciplini anche una procedura ad hoc qualora vi sia il sospetto o si accerti la presenza, all’interno dell’azienda, di un lavoratore contagiato.
E’ opportuno che tale piano di sicurezza venga redatto per iscritto, così da poterne provare documentalmente l’esistenza in caso di controlli ispettivi, e venga portato a conoscenza di tutti i dipendenti e di tutti i soggetti che accedono alle strutture aziendali, mediante affissione nella bacheca aziendale, pubblicazione sul sito internet ed ogni altro idoneo strumento di comunicazione.