Sin dall’adozione dei primi provvedimenti limitativi della libertà di circolazione degli individui, resisi necessari per affrontare ed arginare l’emergenza sanitaria in atto, ci si è chiesti in che modo tali limitazioni riguardassero anche i genitori non affidatari di figli minori. In questi giorni i giudici italiani sono stati chiamati a prendere posizione nel bilanciamento degli interessi in gioco, da individuarsi nel diritto alla salute del minore e dei suoi conviventi, nel diritto del minore alla bi-genitorialità e persino nel (discusso) diritto del genitore a vedere personalmente il figlio.
Già dai primi provvedimenti limitativi della libertà di circolazione degli individui, resisi necessari per affrontare ed arginare l’emergenza sanitaria in atto, il legislatore ha guardato alla figura del minore e alla gestione dei suoi diritti con particolare attenzione. Ad esempio, in materia giudiziaria, l’art. 83 del D. L. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. decreto “Cura Italia”), in continuità con quanto disposto dai precedenti dpcm, ha previsto che il rinvio d’ufficio delle udienze e la sospensione dei termini processuali, relativi al periodo intercorrente fra il 9 marzo 2020 e il 15 aprile 2020, non operassero per le cause aventi ad oggetto interessi preminenti del minore (quali, ad esempio, quelle di competenza del tribunale per i minorenni relative alle dichiarazioni di adottabilità, ai minori stranieri non accompagnati, ai minori allontanati dalla famiglia ed alle situazioni di grave pregiudizio; cause relative ad alimenti o ad obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità.
Con la limitazione delle libertà di circolazione degli individui, poi, si è posto immediatamente il problema della regolamentazione degli spostamenti dei figli minori dal genitore affidatario all’altro. A tal proposito, per il tramite dei suoi canali ufficiali, il Governo ha specificato che “gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore o comunque presso l’affidatario, oppure condurli presso di sé, sono consentiti, in ogni caso secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione o divorzio” (http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioNotizieNuovoCoronavirus.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=4224).
Chiarendo in questi termini la portata del divieto spostamento dei genitori non affidatari del minore, il legislatore ha preferito delegare, innanzitutto al buon senso dei genitori, e successivamente al giudice, il compito di bilanciare il diritto del minore alla bi-genitorialità col suo diritto salute e quello dei terzi conviventi.
La conseguenza di una tale scelta non si è certo fatta attendere, e la questione della collocazione del minore in tempo di Covid-19 ha subito interessato le aule dei tribunali italiani, con risultati talvolta confliggenti.
L’11 marzo scorso, il tribunale di Milano era stato chiamato a decidere sull’istanza urgente presentata dal padre, separato in regime di affido condiviso dei figli minori, collati presso l’abitazione della madre la quale, a causa dell’emergenza sanitaria, aveva deciso di trasferirsi in altro Comune. Con la predetta istanza il genitore chiedeva il rientro dei figli minori presso il loro domicilio originario, affinché lo stesso potesse trascorrere con loro il tempo assegnatogli. Il Giudice, inaudita altera parte, richiamando i chiarimenti governativi in materia, ha risolto la questione riconoscendo come vincolante, anche in tempo di emergenza sanitaria, l’accordo intercorso fra i coniugi ed il relativo regime di collocamento e frequentazione dei minori con il padre. Ha chiarito, inoltre, che le disposizioni previste dal dpcm dell’8 marzo scorso “non sono preclusive dell’attuazione delle disposizioni di affido e collocamento dei minori laddove consentono gli spostamenti finalizzati a rientri presso la residenza o il domicilio, sicché alcuna chiusura di ambiti regionali può giustificare violazioni, in questo senso, di provvedimenti di separazione o divorzio vigenti”. Ad avviso del giudice di Milano, quindi, indipendentemente dalla presenza del virus, il padre avrebbe potuto vedere i figli secondo il calendario previsto e senza che allo stesso si frapponessero ostacoli di alcun genere.
In senso opposto, invece, si è pronunciato il 26 marzo scorso il Tribunale di Bari, chiamato a decidere sull’istanza di sospensione degli incontri fra il padre ed il figlio minore, presentata dalla madre di quest’ultimo. Il giudice, dopo aver accertato il collocamento del minore presso la madre, in comune diverso da quello di residenza del padre, ha accolto l’istanza, ritenendo che “gli incontri dei minori con genitori dimoranti in comune diverso da quello di residenza dei minori stessi, non realizzano affatto le condizioni di sicurezza e prudenza di cui al D.P.C.M. 9/3/2020, ed all’ancor più restrittivo D.P.C.M. 11/3/2020, dal D.P.C.M. 21/3/2020, e, da ultimo, dal D.P.C.M. del 22/3/2020, dal momento che lo scopo primario della normativa che regola la materia, è una rigorosa e universale limitazione dei movimenti sul territorio, (attualmente con divieto di spostarsi in comuni diversi da quello di dimora), tesa al contenimento del contagio, con conseguente sacrificio di tutti i cittadini ed anche dei minori”.
Ritenuto, quindi, che nel caso di specie non potesse verificarsi adeguatamente il rischio sanitario a cui le uscite del minore avrebbero esposto lo stesso ed i suoi conviventi, e ritenuto che il “diritto – dovere dei genitori e dei figli minori di incontrarsi, nell’attuale momento emergenziale, è recessivo rispetto alle limitazioni alla circolazione delle persone, legalmente stabilite per ragioni sanitarie, a mente dell’art. 16 della Costituzione, ed al diritto alla salute, sancito dall’art. 32 Cost., il giudice ha sospeso le visite paterne fino al 3.4.2020, disponendo, fino a tale data, che il diritto di visita paterno fosse esercitato attraverso lo strumento della videochiamata, o Skype, per periodi di tempo uguali a quelli fissati, e secondo il medesimo calendario.
Sebbene nelle finalità perseguite la pronuncia in esame possa ritenersi ragionevole, dal momento che il diritto alla salute si mostra prevalente rispetto agli altri diritti della persona, perché presupposto necessario della stessa (non a caso è l’unico diritto espresso come fondamentale in Costituzione), il ragionamento seguito dal giudice non è immune da zone d’ombra. In particolare, desta perplessità il fatto che il giudice abbia ricostruito la visita genitoriale come diritto paterno, non avendo riguardo al prevalente interesse del minore e del suo diritto alla bi-genitorialità.