L’OMESSA CURA DEL PROPRIO ANIMALE PUO’ CONFIGURARE REATO DI MALTRATTAMENTO!

L’omessa cura di una malattia del proprio animale, che determina il protrarsi della patologia, con un significativo aggravamento della sua condizione fisica e psicologica, può configurare la lesione rilevante per il delitto di maltrattamento di animali, punita ai sensi del combinato disposto dell’art. 544 ter e dell’art. 582 del codice penale. Così ha statuito la Corte di Cassazione.

In particolare, l’art. 544 ter disciplina il reato di maltrattamento di animali:

Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da 3 mesi a 18 mesi o con la multa da 5.000 euro a 30.000 euro. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. La pena è aumentata della metà se dai fatti cui al primo comma deriva la morte dell’animale.

Attraverso una recentissima pronuncia (consultabile al seguente link: https://www.ambientediritto.it/home/giurisprudenza/corte-di-cassazione-penale-sez-3-23052019-sentenza-n22579 ), la Sezione penale della Corte di Cassazione ha confermato la condanna al pagamento della multa di 10.000 euro – così rideterminata dalla Corte d’Appello, dopo l’impugnazione della sentenza – inflitta al ricorrente per aver omesso le necessarie cure nei confronti del suo cane, accettando il rischio dell’aggravamento della malattia, di cui era affetto, con conseguente protrarsi delle sofferenze da questa generate.
In particolare, il cane era stato visto vagare per strada in pessime condizioni e, dopo essere stato soccorso dagli operatori di un canile e sottoposto a visita medico-veterinaria presso l’ASL, era risultato essere affetto da tumori mammari ulcerati, che avevano richiesto un intervento d’urgenza, nonché dermatite, calli da decubito e artrosi.
La Corte ha evidenziato come, nel caso in esame, fosse stato accertato che il ricorrente non aveva sottoposto il cane alle cure, nonostante la condizione dell’animale fosse evidente, accettando in questo modo il rischio di un aggravamento delle sue condizioni: in altre parole, il ricorrente non poteva non sapere che il cane versasse in una condizione patologica suscettiva di evolversi e pertanto aveva agito con dolo generico in quanto, con totale incuria del cane, aveva cagionato notevoli sofferenze all’animale per l’aggravarsi della malattia.
La Cassazione ha precisato, altresì, come anche il protrarsi di una malattia già preesistente, senza adeguate cure per limitarla o debellarla, configuri le lesioni rilevanti ex art. 544 ter c.p., giacché la nozione di malattia comprende tutte le alterazioni da cui derivi “una limitazione funzionale o un significativo processo patologico o l’aggravamento di esso, ovvero una compromissione significativa delle funzioni dell’organismo”.

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