La guida in stato di ebrezza, un necrologio mediatico e legislativo.

Camilla Romagnoli e Gaia Von Freymann.
Sonia Farris ed Elisa Rondina.
E poi ancora Mario Angelucci e Dario Marasco…..
Sono questi i necrologi mediatici a cui veniamo sottoposti giornalmente e questi i nomi di quelle vittime che sentiamo così vicine da sentirci legittimati a giudicare quelli che, invece, sono gli orchi da cui rifuggire, gli “alcolizzati” e “drogati” che hanno spezzato queste giovani vite. L’epistassi funerea che la guida in stato di ebrezza porta con sé ed il grande clamore sociale che questa ogni volta suscita hanno portato a dar vita ad una disciplina giuridica che, molto spesso, è frutto della commistione di questi due elementi. Una regolamentazione legislativa scarna, spesso priva di coerenza logica e persino facilmente aggirabile. Un insieme di regole che, per una quota consistente, sono soltanto espressione di un labile buon costume che, in queste situazioni, emerge incontrollabile.
La stretta correlazione di questa materia allo sviluppo sociale, tecnologico, medico rende la sua cristallizzazione pressoché impossibile. Nuove bevande e droghe, auto sempre più simili ad automi ed un legislatore che si sforza di tener conto delle reazioni fisiologiche di ciascun individuo a queste ingordigie alcolemiche rendono il tutto ancora più lontano dall’effettiva applicabilità di una regolamentazione alla costellazione casistica che ogni giorno si palesa dinanzi ai tribunali di tutta Italia.
Però, come il diritto di voto presuppone il dovere di informazione, anche qui è necessario delineare i tratti più tipici e generici della soluzione fornita dal legislatore. Bisogna, quindi, definire la fisiologia legislativa per accorgersi di quanto prepotentemente emerga la patologia giurisprudenziale.

La disciplina

La disciplina generica relativa alla guida in stato di ebrezza alcolica è contenuta all’interno del codice della strada negli artt. 186 e 186-bis. La stessa però, insufficiente e poco chiara, è stata spesso rimaneggiata con riforme che hanno portato a scarse rivoluzioni effettive. La novità legislativa targata Renzi-Nencini poi, la cui portata letterale così ambigua e la cui applicabilità così badiale, ha reso la fattispecie “omicidio stradale” (spesso legata da un nodo gordiano a quella di stato di ebrezza) qualcosa che sarebbe eufemismo definire di discrezionale irrogazione. Non addentrandoci nel mare magnum della stessa, del suo battesimo dinanzi alla corte costituzionale e del suo probabile ritorno dinanzi ad essa, è sufficiente analizzare i due articoli offertici dal codice della strada ed osservare come la giurisprudenza abbia dato libero sfogo al suo estro inventivo nella sua applicazione, perché sia chiara l’eccessiva generosità della regolamentazione relativa alla “guida in stato di ebrezza”, tipica di un legislatore troppo prudente o, forse, poco responsabile.
L’articolo 186 e l’articolo 186 bis richiamano rispettivamente la disciplina generica della guida in stato d’ebrezza e quello relativo ai conducenti minori di anni ventuno (volgarmente definiti “neopatentati) e di categorie piuttosto particolari che, dato il loro delicato ruolo, sono sottoposti ad un regime di tolleranza zero verso gli stravizi alcolici.
La portata dell’articolo 186, tanto ampia quanto poco chiara, racchiude in sé vari elementi, partendo dalle tre ipotesi generalmente riconosciute di stato di ebrezza fino a giungere alle pene accessorie. Un’accozzaglia legislativa di tutto punto, non sarebbe blasfemo definirla. In primis, un ragionamento a contraria desumibile dal dato letterale ci porta a considerare in stato di ebrezza in conseguenza dell’uso di sostanze alcoliche “chiunque manifesti evidenti sintomi di alterazione psicofisica dovuta all’uso di bevande alcoliche o che presenti un tasso alcolemico superiore a 0,5 g/l”.

Si prevede, poi, una triade colombiana sanzionata proporzionalmente al tasso riscontrato:
1) l’ipotesi più lieve, che è stata depenalizzata, si ha quando viene accertato un valore corrispondente almeno a 0,5 e non superiore a 0,8 grammi per litro (g/l). In particolare, qui, le sanzioni sono di natura amministrativa: pagamento di una somma di denaro e sospensione della patente di guida. Eventuali ricorsi vanno proposti, alternativamente, al Prefetto o avanti il Giudice di Pace del luogo della commessa violazione.
2) l’ipotesi successiva, che possiamo definire intermedia, si realizza quando viene accertato un valore corrispondente a un tasso alcolemico superiore a 0,8 e non superiore a 1,5 grammi per litro (g/l);
3) l’ipotesi più grave si verifica quando il valore accertato supera 1,5 grammi per litro (g/l).
Queste ultime due ipotesi sono spesso analizzate congiuntamente poiché si tratta di reati contravvenzionali, di natura penalistica quindi, procedibili di ufficio e punibili con l’ammenda e l’arresto nonché con le sanzioni accessorie della sospensione della patente di guida da sei mesi ad un anno nell’ipotesi di cui al n. 2) e con la sospensione della patente di guida da uno a due anni nell’ipotesi di cui al punto 3); la pena è raddoppiata se il veicolo con il quale è stato commesso il reato è di proprietà altrui. Con la sentenza di condanna, nell’ipotesi sub 3): a) viene disposta la confisca del veicolo, salvo nel caso che il veicolo stesso appartenga a persona diversa dal conducente; b) in caso di recidiva nel biennio viene disposta la revoca della patente di guida dell’autore del reato.
Se questi, però, sono meri dati legislativi, la parte interessante è quella prevista dal quinto comma e dalle modalità di accertamento del tasso alcolemico. Le possibili prassi adottabili, dovute anche a vari scenari fattuali ed evoluzioni scientifiche, danno vita ad uno spettro quasi fantascientifico che rendono questa disciplina aggirabile e poco idonea a contenere le garanzie costituzionali che il diritto penale e processuale presuppongono. La possibilità di rendere invalidi gli accertamenti effettuati dall’etilometro, se privi dell’avviso di avere la facoltà di nominare un difensore, ma validi quelli con “l’alcool blow” poiché meno invasivo ed avente valore di controllo preliminare; il potere di utilizzare nel procedimento gli accertamenti eseguiti autonomamente dalle strutture ospedaliere ma non quelli richiesti alle stesse dalla polizia giudiziaria se non precedute dal sopracitato avvertimento da dare al contravventore; tutto questo rende il sistema privo di linearità e logica.
L’articolo 186 bis, invece, introdotto nel 1992 ma riformato annualmente nel 2019, nonostante contenga un decalogo boccacciano, presenta il nucleo di interesse dato dal primo comma lettera a, quello relativo alla guida di minori di anni 21, che data la delicatezza sociale e la contemporaneità del tema lo rende una disciplina in cui il legislatore interviene con non poco tatto.
La curiosa giurisprudenza
All’interno della fisiologia e di questa enorme prosopopea di arte legislativa si sono dovuti barcamenare i giudici al fine di rendere comprensibile ed accettabile una disciplina che lascia ampio raggio alle ambiguità. Due, a mio avviso, sono le sentenze più recenti e di particolare soluzione, che quasi fan rimpiangere un sistema inglese del precedente giurisprudenziale, al fine, almeno, di avere una linea coerente e ferma, per quanto sbagliata essa possa essere considerata.
Una recente sentenza, la cui soluzione era già stata preceduta dalla Cassazione (n. 54018 del dicembre 2018), aveva visto l’applicazione dell’istituto della tenuità del fatto nonostante l’elevato tasso alcolemico riscontrato nel sangue del conducente. Infatti, appellandosi alla concreta pericolosità dell’illecito e, quindi, del suo sfondo fattuale, la disciplina della tenuità del fatto permette, “valutando tutte le considerazioni della peculiarità del fatto concreto”, la non applicazione della sanzione quando la guida in stato di ebrezza è “in astratto incompatibile con il pregiudizio all’interno della fattispecie tipica, rapportata ai valori alcolemici delineati”. Da questo è derivata una clamorosa sentenza partorita qualche giorno fa dal tribunale di Milano. Un ragazzo 29 enne, 1.97 gr di alcool per litro di sangue, un incidente stradale. Poi, il proscioglimento ex art 131-bis, tenuità del fatto, giustificato dal fatto di non aver cagionato danni ad altri e che il livello fosse di poco superiore alla soglia di rilevanza. Soglia, del coma etilico, intendeva forse il giudice relatore.
Un’altra sentenza poi, come se fosse un resoconto simpatico da raccontare dinanzi ad un falò, vale la pena citare. Stavolta la particolarità è uno pseudo commento da parte del potere giudiziario nei confronti di quello legislativo, di esitante matrice antimontesquieuana.
Lo sfondo è tutto salentino. Un giudice di pace di Lecce, infatti, dinanzi al ricorso di un giovane che, con un tasso alcolemico pari a 0.52, si era vista ritirata la patente e multato per più di 500 euro, ha annullato il verbale adducendo una motivazione in versione quasi fiabesca. Il soggetto e la sua “presenza intellettuale” al momento del fatto, “ la considerazione “dell’eccessivo elemento astratto con cui chi ha scritto la legge ha definito il liminem tra legalità ed illegalità” e “ la valutazione discrezionale e soggettiva che piuttosto dovrebbe essere portata” ci permettono di comprendere quanto la disciplina nel grembo della diade 186 e 186 bis porti ad epiloghi che di giuridico hanno ben poco e che talvolta spingono quasi all’oblio dei più alti principi franco-rivoluzionari avverso il potere regio.

Il diritto positivo e gli epiloghi negativi

Queste due sentenze, che si propongono di essere un mero esempio ed a cui si potrebbe aggiungere una costellazione casistica infinita, mostrano quanto, nonostante gli sforzi del legislatore, la previsione normativa sia incapace di racchiudere in sé tutti i possibili scenari che ogni giorno si offrono dinanzi alle aule giudiziarie.
Una disciplina che è necessaria virtù essere generale, un sistema che effettivamente non prevede un vincolo di alcun genere portato dai precedenti giurisprudenziali, una magistratura che troppo spesso si vede costretta a fare i conti con il rilievo mediatico che questi avvenimenti trascinano con sé.
Ed allora, vien da chiedersi, che tipo di giustizia si vuole? Una giustizia giusta od una giustizia legale? Che poi, la giustizia esiste davvero od è soltanto frutto di circostanze, sentimenti, principi? L’ingiustizia di un genitore piegato sul cadavere del proprio bambino si può, oggettivamente, anche soltanto paragonare al dolore di un altro genitore che vedrà il suo, di bambino, marcire in carcere? La risposta corretta non esiste ed è lasciata all’etica ed alla morale di ognuno di noi. La complessità del diritto è proprio questa: non trovare una regola giusta bensì quella meno sbagliata e, come nel caso della guida in stato di ebrezza, non sempre il risultato appare soddisfacente.

A cura di Dajana Carbonari, Member of Elsa – European Law Student Association – nell’ambito del progetto Lawyers@work Blog.

 

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