Il 4 marzo scorso, la seconda sezione della Suprema Corte di Cassazione ha depositato la sentenza n. 6080, prendendo nuovamente posizione sulla possibilità di concludere un preliminare di donazione e ribadendo i limiti al potere di censurare la qualificazione dell’atto negoziale operata dai giudici del merito.
La vicenda esaminata dai giudici di legittimità trae origine dal contenzioso instauratosi presso il Tribunale di Chieti fra due fratelli, ove l’attore chiedeva emettersi sentenza costitutiva, in forza dell’art. 2932 c.c., del preliminare stipulato, con atto dell’11.6.1989, col germano convenuto. Col predetto atto, infatti, il convenuto si era impegnato a “donare” il bene immobile ivi indicato, realizzato con l’apporto di entrambi le parti.
Istruita la causa con prove orali e documentali, all’esito, il Tribunale di Chieti accoglieva la domanda attorea, sull’assunto che la dichiarazione dell’11.6.1989 poteva qualificarsi come preliminare unilaterale di vendita, potendosi individuare il corrispettivo nel pagamento, da parte dell’attore, dei materiali e dei lavori per la realizzazione dell’immobile oggetto del contenzioso.
Il 14.11.2014 tale decisione veniva completamente ribaltata dalla Corte d’Appello di L’Aquila che, in antitesi al Giudice di prime cure, escludeva che la dichiarazione dell’11.6.1989 potesse configurare una donazione perché “carente dei requisiti formali richiesti dalla legge ad substantiam”, né tantomeno un preliminare di vendita, “in quanto mancante del corrispettivo del trasferimento del bene e dei dati identificativi dell’immobile, costituiti dai confini, dai riferimenti catastali e dalla planimetria, ancor più necessaria trattandosi di un’unità immobiliare compresa in un’altra unità di maggiore estensione”.
La questione, pertanto, veniva portata all’attenzione della Corte di Cassazione mediante ricorso fondato su 3 motivi di illegittimità della decisione di secondo grado.
In primo luogo, il ricorrente contestava la decisione della Corte aquilana nella parte in cui aveva escluso che la scrittura privata dell’11.6.1989, contenente una dichiarazione unilaterale, fosse suscettibile di esecuzione specifica, adducendo come ulteriore errore l’interpretazione del termine “donare”, che avrebbe dovuto essere interpretato non come atto di liberalità ma come trasferimento a titolo oneroso, dal momento che dall’istruttoria era emersa la compartecipazione delle parti nel sostenimento delle spese di realizzazione dell’immobile.
Il Giudice di legittimità, in una sentenza di cui si apprezza il rigore logico adottato, scinde la questione prospettatagli in due sottocategorie, la prima relativa al potere del giudice del merito di interpretare e qualificare la scrittura privata dell’11.6.1989, la seconda relativa alla possibilità di configurare un preliminare di donazione.
Quanto al primo aspetto, la Corte romana chiarisce che le norme in tema di interpretazione dei contratti di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., in ragione del rinvio ad esse operato dall’art. 1324 c.c., si applicano anche ai negozi unilaterali, nei limiti della compatibilità con la particolare natura e struttura di tali negozi, dovendosi avere riguardo soltanto all’intento proprio del soggetto che ha posto in essere il negozio sebbene valutandolo alla luce dell’atto complessivo (gli stessi orientamenti erano già stati espressi in precedenti pronunce: Cassazione civile sez. I, 06/05/2015, n. 9127; Cass. Civ., sez. 02, del 20/01/2009, n. 1387; Cass. Civ., sez. LL, del 14/11/2013, n. 25608).
Quanto all’attività di interpretazione e qualificazione dell’atto negoziale, la Corte coglie l’occasione per ribadire che si tratta di un tipico accertamento in fatto, riservato ai soli Giudici del merito, perciò incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 c.c. e segg.
In buona sostanza, chiarisce la Corte, il giudice di ultima istanza potrà sindacare le valutazioni dei giudici dei gradi precedenti soltanto quando la parte richiedente abbia indicato specificamente quali regole ermeneutiche non siano state in concreto osservato e in quale modo sia stata realizzata la violazione delle norme di diritto richiamate poc’anzi.
La censura non può, quindi, risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione possibile.
È bene notare, inoltre, come la Corte abbia ribadito che, per principio generale, nell’interpretazione delle clausole contrattuali (e in forza del richiamo ex art. 1324 c.c. anche degli atti unilaterali), il giudice di merito, “allorché le espressioni usate dalle parti fanno emergere in modo immediato la comune volontà delle medesime, deve arrestarsi al significato letterale delle parole e non può fare ricorso agli ulteriori criteri ermeneutici, se non previa rigorosa dimostrazione dell’insufficienza del mero dato letterale ad evidenziare in modo soddisfacente la volontà contrattuale”.
In forza di tale principio, continua la Corte, il giudice di merito ha operato correttamente, in quanto “ha attribuito primaria importanza al senso letterale della parola “donare”, estendendo l’area della propria indagine all’intero contenuto della dichiarazione unilaterale. Una volta escluso che il testo in esame presentasse una residua ambiguità, la corte d’appello ha correttamente evitato di dare rilievo, al fine di procedere alla sua interpretazione, ad elementi estranei all’atto negoziale”.
Passando allo scrutinio la seconda questione, riprendendo la pronuncia n. 4153 a Sezioni Unite del 18 dicembre 1975, la Seconda Sezione ha sottolineato nuovamente la contraddizione in termini (giuridici) che sottostà ad una tale costruzione: giustamente si riferisce che “la coazione all’adempimento, cui il promittente [di donazione] sarebbe soggetto, contrasta con il requisito della spontaneità della donazione, il quale deve [necessariamente] sussistere al momento del contratto”, pena la nullità dello stesso.
Per tali ragioni, quindi, il Giudice di legittimità ha ritenuto non potersi ammettere la cessione della proprietà per il tramite di un “preliminare di donazione” perché sarebbe insanabilmente nullo “essendo la donazione actus legitimus che non ammette preliminare”.