Slitta ulteriormente – questa volta al 15 luglio 2022 – l’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa. Così è stato deciso dal decreto PNRR 2, che ha spostato in avanti di altri 2 mesi l’inizio dell’applicazione del testo emanato nel lontano 2019 con il D. lgs. n. 14.
In questo modo, l’Italia si adeguerà alla Direttiva UE 2019/2023 (c.d. “Insolvency”), la quale si propone di armonizzare e rendere il più possibile omogenee le varie discipline degli Stati membri dedicate alla crisi d’impresa, accumunate dall’obiettivo di anticipare la percezione della crisi all’interno dell’azienda, allo scopo di gestirla sul nascere, evitandone il peggioramento irreversibile.
La nuova prospettiva del codice
Come abbiamo avuto già occasione di scrivere, il nuovo Codice porta con sé la volontà di cambiare la prospettiva rispetto alla disciplina contenuta nell’attuale normativa in materia di crisi, contenuta nella legge fallimentare (R.D. 267/1942) e nella legge sul Sovraindebitamento (L. 3/20129)).
Al di là dei cambiamenti terminologici (la parola “fallimento” viene sostituita da “liquidazione giudiziale”, cioè la procedura con cui un terzo incaricato dal tribunale, ricostruito l’attivo e il passivo dell’impresa, dopo aver monetizzato quanto eventualmente esistente, ripartisce il ricavato tra i creditori in base alla graduazione dei loro crediti), la strada dettata dalla riforma parrebbe voler destinare la procedura liquidativa ad una sorta di ultima ratio rispetto al salvataggio e alla continuità aziendale.
In conclusione, la “nuova prospettiva” seguita da Codice è nel senso di cercare di recuperare le aziende in difficoltà, così da evitare che, situazioni di crisi e/o insolvenza diventino a tal punto gravi da condurre verso una chiusura dell’attività, che finirebbe per generare un effetto domino sul tessuto economico circostante.
Il correttivo apportato al Nuovo Codice d’ Impresa
Recentissimamente è stato approvato, in esame definitivo, dal Consiglio dei Ministri, su proposta del presidente Mario Draghi e del Ministro della giustizia Marta Cartabia, un decreto legislativo modificativo del Codice, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, nonché le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, tenuto conto dei pareri espressi dal Consiglio di Stato e dalle competenti Commissioni parlamentari in merito allo schema A.G. n. 374 approvato in data 17 marzo 2022.
Ora dovrà attendersi la pubblicazione in Gazzetta ufficiale per poter conoscere la portata delle modifiche e comprendere quanto sia stato conservato e quanto modificato del precedente schema, che si proponeva di innovare il quadro normativo sia dal punto di vista concettuale che operativo.
Una nuova definizione di “crisi”
In particolare, nella proposta ministeriale, veniva modificato il concetto di “crisi”, definito come «lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi» e non più come “lo stato di squilibrio economico-finanziario che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate».
Laddove per “insolvenza” si intende: «lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni» (così riporta testualmente l’art. 1, comma 1, lett. b), D. Lgs. 14/2019).
In questo modo, la situazione di crisi arriva a comprendere tutte le situazioni di difficoltà finanziarie dell’azienda, ma in una prospettiva temporale più ampia («[…] nei successivi dodici mesi») rispetto a quella originariamente dettata dal Codice (ante intervento dello schema di decreto legislativo).
Viene introdotta la definizione di “quadri di ristrutturazione preventiva”, tra cui non figura la composizione negoziata e viene ancor più espresso il dovere dell’imprenditore di rilevazione tempestiva della crisi.
La rilevazione tempestiva della crisi e il dovere dell’imprenditore
Tra le tante innovazioni, lo schema di decreto legislativo aveva integralmente modificato anche l’originario articolo 3 del Codice, il quale si riferisce a tutte le misure che l’imprenditore (individuale o collettivo) deve predisporre al fine di individuare con tempestività lo stato di crisi, riuscendo, in questo modo, a mettere in atto tutti gli strumenti utili a fronteggiarlo.
Una prima “variazione” si coglie dal cambiamento della rubrica, che da “doveri del debitore” diventa “adeguatezza degli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa”.
Precisamente, all’imprenditore (individuale o collettivo) viene richiesto di adottare specifici comportamenti volti non solo a rilevare, ma, soprattutto, a rispondere, in modo tempestivo, allo stato di crisi.
In questo modo, all’imprenditore individuale è richiesta l’adozione di misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi ed assumere senza indugio le iniziative necessarie per farvi fronte. In termini analoghi, all’imprenditore collettivo è richiesta l’istituzione di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato ai sensi dell’art. 2086 c.c., ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative.
In ogni caso, tanto all’imprenditore individuale quanto a quello collettivo si richiede che, le misure predisposte dagli stessi permettano:
- la rilevazione degli squilibri patrimoniali, economici e finanziari, ove presenti, con riguardo alle caratteristiche peculiari dell’impresa;
- la verifica dell’esistenza di debiti non sostenibili e della mancanza di prospettiva di continuità aziendale per i successivi 12 mesi, nonché il riconoscimento dei segnali d’allarme individuati;
- la raccolta delle informazioni necessarie per la lista di controllo particolareggiata e per il test pratico atto a verificare l’effettiva possibilità di risanamento.
Inoltre, vengono specificate quali circostanze siano da considerare come segnali d’allarme circa la possibile sussistenza di una situazione di crisi.
In dettaglio, tali “segnali” si verificherebbero in presenza di una serie di debiti, quali:
- debiti pari a oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni scaduti da almeno 30 gg;
- debiti verso fornitori scaduti da almeno 90 gg di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti;
- esposizioni nei confronti di banche o altri intermediari finanziari scadute da più di 60 gg oppure esposizioni che abbiano superato da almeno 60 gg il limite degli affidamenti ottenuti purché rappresentino complessivamente almeno il 5% del totale delle esposizioni;
- esposizioni nei confronti di enti pubblici qualificati (Inps, Inail, Agenzia delle entrate) relativamente a contributi previdenziali, premi assicurativi, versamento IVA, crediti affidati per la riscossione.
Considerazioni finali
Il processo di riforma continua tra rinvii e modifiche che, allo stato, dovrebbero entrare in vigore il prossimo 15 luglio. Si attende, ora, la pubblicazione in Gazzetta ufficiale per conoscere la portata delle modifiche e comprendere quanto sia stato conservato e quanto modificato del precedente schema, in attesa della concreta applicazione di una normativa che ha un impatto dirompente nella vita delle imprese.
Per saperne di più sull’iter di riforma:
https://www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/docnonleg/44402.htm
https://studiolegaleborgiani.it/gli-indici-dallerta-che-cosa-sono-e-a-che-cosa-servono/