CREAZIONE DI UN FALSO PROFILO SUI SOCIAL NETWORK: QUANDO UNA PRASSI “INNOCENTE” DIVENTA UN REATO PUNIBILE AI SENSI DEL CODICE PENALE

Il fenomeno del c.d. “identity theft”, meglio conosciuto come furto di identità in rete, pur non corrispondendo materialmente ad una sostituzione della persona, in mancanza di una fattispecie incriminatrice specifica, viene ricondotto dalla giurisprudenza di legittimità nell’ambito del reato di cui all’art. 494 c.p., relativo alla “sostituzione di persona”, ai sensi e per gli effetti del quale:

“chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome o un falso stato ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino a un anno”.

Il fenomeno, che si sta intensificano ogni giorno di più, complice la continua crescita dell’utilizzo di internet e l’evoluzione esponenziale degli strumenti tecnologici che consentono la diffusione e la condivisione dei dati personali online, si realizza, infatti, soprattutto nell’ambito dei social network, grazie alle modalità di custodia delle credenziali di autenticazione degli utenti e alla possibilità di creare account falsi da parte di terzi.

Sul punto, la Cassazione si è pronunciata più volte ritenendo che la condotta di chi crea ed utilizzi account o caselle di posta elettronica servendosi dei dati anagrafici di un terzo soggetto, inconsapevole, è in grado di indurre in errore non solo il fornitore del servizio, bensì l’intera platea di utenti, i quali, convinti di interloquire con un soggetto, si troveranno ad interagire, invece, con una persona diversa da quella che a loro viene fatta credere, integrando così la fattispecie di reato prevista dalla norma (Cass. Pen. n. 46674/2007).

Quando interviene la tutela offerta dall’art. 494 c.p. :

  • in presenza di inganni relativi “alla vera essenza di una persona o alla sua identità o ai suoi attributi reali”. Pertanto, laddove questi siano collocati in rete, tale tutela può ben oltrepassare la ristretta cerchia di un destinatario specifico, estendendosi agli utenti dei rapporti telematici (Cass. Pen. n. 46674/2007).
  • quando viene creato un preciso profilo al quale è associata una reale immagine della persona offesa. A tal proposito, gli Ermellini hanno ritenuto integrata la figura di reato in esame nella condotta del soggetto che realizzi e si avvalga di un determinato profilo su un social network che riproduca la foto della vittima (persona offesa) ascrivendo alla stessa una descrizione degradante e, attraverso tale identità, utilizzi il sito comunicando con gli altri iscritti e condividendone i contenuti (Cass. Pen. n. 25774/2014, consultabile al seguente link: http://www.giurisprudenzapenale.com/2014/10/23/in-tema-di-sostituzione-di-persona-sul-web-cass-pen-257742014/).
Giova osservare, da ultimo, che il legislatore, con d.l. n. 93/2014 (convertito dalla l. n. 119/2014) ha introdotto nel nostro ordinamento il concetto di “identità digitale”. Infatti, l’art. 9 del citato decreto, rubricato “Frode informatica commessa con sostituzione di identità digitale” ha modificato l’art. 640-ter c.p., con l’inserimento di un terzo comma, ove il legislatore ha previsto la pena della reclusione da due e sei anni e la multa da 600,00 euro a 3.000,00 euro nel caso in cui il fatto sia commesso mediante furto o indebito utilizzo dell’identità digitale in danno di uno o più soggetti; trattasi di un delitto per il quale è prevista la querela della persona offesa salvo che ricorra l’ipotesi di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 640-ter ovvero altra circostanza aggravante.

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