Nel giugno scorso, la Cassazione si è pronunciata sul ricorso proposto da un figlio quarantatreenne nei confronti del padre, per vederlo condannare al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, derivanti da una condizione di abbandono perdurata per più di 40 anni (dal 1970 al 2013), riformando integralmente le decisioni del giudice del merito.
Un figlio quarantatreenne ricorre in Cassazione per vedersi riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, connessi agli illeciti familiari perpetrati dal padre, accusato di non essersi preso cura dello stesso, sin dalla nascita, perpetrando mancanze continue e complesse, non avendo trovato riconoscimento delle proprie ragioni nel corso dei giudizi di merito ove, valutate le circostanze, i Giudici avevano ritenuto non fondate e non provate le richieste attoree.
Con l’ordinanza n. 11097 del 10.6.2020, invece, la terza Sezione Civile, a seguito di un’accurata disamina in diritto della questione, arriva a riconoscere il diritto del figlio, censurando le valutazioni dei Giudici del merito che, configurando la condotta paterna d’abbandono come un fatto illecito istantaneo ad effetti permanenti (ogni giorni il soggetto compie, reiteratamente, lo stesso atto illecito in modo reiterato, provocando singole ipotesi di dolore nell’altrui persona), aveva ritenuto, oltre che non provato, comunque prescritto in 5 anni dal giorno di realizzo della condotta omissiva, il presunto diritto del figlio a vedersi risarcito il danno.
La Corte, invece, cassando esplicitamente tale qualificazione, ricostruendo con un suggestivo ed incisivo excursus storico l’origine della risarcibilità del danno per condotte illecite all’interno del nucleo familiare, arriva a configurare l’abbandono parentale come una completa e costante assenza del genitore nella vita filiale, da inquadrare come un’omissione permanente, ontologicamente diversa dalla reiterazione di singole condotte illecite, implicante un’ipotesi di illecito endofamiliare permanente. Con l’effetto che, in forza di tale ricostruzione, la prescrizione quinquennale non decorrerà dal giorno successivo alla realizzazione della singola condotta illecita (momento in cui il padre omette di adempiere le proprie obbligazioni quotidiane di assistenza morale e non), bensì dal momento in cui il figlio (danneggiato) prende coscienza in senso pieno dell’illecito perpetrato dal genitore, dismettendo l’auspicio di godere di una relazione stabile con l’ascendente e razionalizzando di poter agire in giudizio per la tutela del proprio interesse leso.
In forza di tali principi, dunque, la Corte ha cassato la decisione assunta dal Giudice del merito, rinviando alla Corte d’Appello di Firenze affinché questa si pronunci nuovamente, conformandosi ai principi di diritto poc’anzi richiamati, sia in termine di configurazione della natura dell’illecito da abbandono parentale, sia in ordine alla determinazione del dies a quo prescrizionale.