Lavoratori e obbligo di green-pass: novità e precedenti.

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Il recente DECRETO-LEGGE 21 settembre 2021, n. 127 ha fatto chiarezza sull’obbligo di esibizione del green pass per i lavoratori dal 15 ottobre 2021 al 31 dicembre 2021, liberamente consultabile al seguente link: https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:2021-09-21;127.

Le misure investono indistintamente l’ambito lavorativo sia pubblico che privato, prevedendo obblighi per le parti del rapporto lavorativo, anche al fine di debellare e prevenire l’insorgere di già frequenti contenziosi tra aziende sanitarie (datori di lavoro) e personale sanitario (lavoratori) per la mancanza di green pass da parte di quest’ultimi.
Sul punto, ad esempio, il Tribunale di Milano, con sentenza del 16 settembre 2021, n.2135, si è espresso in merito alle conseguenza della scelta dei lavoratori indicati dal D.L. n. 44/2021 (sanitari che svolgono attività in strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, in farmacie e parafarmacie), di non vaccinarsi contro il SARS-CoV-2. Quest’ultimi sono stati definiti come “temporaneamente inidonei” a lavorare.

In virtù dell’art. 2087 c.c., posto a salvaguardia della salute e della sicurezza dei lavoratori, è stato ribadito l’obbligo del datore di lavoro di adottare e far rispettare non solo le norme espresse ma anche tutte le misure che, volta per volta si rendano “necessarie”.
Limitare l’accesso ai soli soggetti muniti di green pass rappresenta, quindi, un obbligo per il datore di lavoro, della cui violazione potrebbe rispondere sia in sede civile che penale, essendo questi tenuto ad adottare tutte le misure necessarie ad evitare il contagio, finanche alle più gravi, quale la temporanea sospensione del lavoratore.

Per far fronte a tali situazioni di indeterminatezza normativa e altresì ratificare i pregressi orientamenti giurisprudenziali, con il già menzionato decreto si dispone che l’accesso agli ambienti di lavoro da parte dei lavoratori viene subordinato al possesso della certificazione verde, che il datore di lavoro può legittimamente richiedere di esibire.
Sono esonerati da tale vincolo solamente i soggetti esenti dalla campagna vaccinale sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti con circolare del Ministero della salute.
La verifica del rispetto delle prescrizioni spetta, quindi, ai datori di lavoro, i quali sono altresì tenuti a definire, entro il 15 ottobre 2021, le modalità operative di verifica del possesso del certificato verde rispettando la privacy dei dipendenti.
Lo strumento utilizzato per la verifica e sul quale viene installata l’applicazione “C19” deve essere aziendale. Nell’opera di organizzazione dei controlli, deve essere cura del datore di lavoro evitare che il controllo avvenga in assenza di specifiche istruzioni anche per quanto attiene l’uso dell’app e del device aziendale.
Onere del datore di lavoro sarà anche quello di informare il lavoratore del trattamento di verifica tramite l’apposizione di informative privacy di libero accesso predisposte in prossimità dei luoghi d’accesso. L’informativa dovrà contenere gli elementi di cui all’art. 13 del Reg. Eu 679/2016, la cui base giuridica si rinviene nell’obbligo di legge sancito dall’art. 3 del D. legge 127/2021 che manterrà la sua validità fino al 31 dicembre, data in cui (si auspica) dovrebbe cessare lo stato di emergenza.

Ma che cosa avviene in assenza ingiustificata di green pass?
Il lavoratore che risulti sprovvisto del certificato verde è quindi considerato assente ingiustificato ma senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Viene preclusa, ad ogni modo, la retribuzione, così come qualsiasi altro compenso o emolumento per il periodo non lavorato.
L’accesso ai luoghi di lavoro per il personale privo di certificazione, invece, è punito con sanzione amministrativa e restano ferme le conseguenze disciplinari secondo i rispettivi ordinamenti di appartenenza.
Viene esplicitato, poi, l’obbligo di repêchage, secondo il quale il datore di lavoro deve adibire il lavoratore non-vaccinato, ove possibile, a mansioni inferiori, se compatibili con la riduzione al minimo dei rischi di contagio.
Il meccanismo utilizzato è simile agli espedienti utilizzati in tema di maternità (art. 7, comma 4, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151), invalidità (art. 4, comma 4, L. 12 marzo 1999, n. 68) e per sopravvenuta inidoneità alle mansioni (art. 42, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81).
La differenza sostanziale rispetto ai casi sopra citati è data dal fatto che, mentre nello spostamento a mansioni inferiori per cause non imputabili al lavoratore, si conserva il trattamento precedente, per chi rifiuti la vaccinazione lo spostamento a mansiono inferiori comporterà il diritto al trattamento economico previsto per l’esercizio delle nuove mansioni assegnate, che ben potrà essere inferiori.
La prova dell’impossibilità del repêchage è posta a carico del datore di lavoro.
Anche tale aspetto era stato analizzato, nel periodo pandemico dai Tribunali e le Corti italiane, i quali pur ribadendo il dovere di ri-assegnazione a nuove mansioni del lavoratore non vaccinato, ha esplicitato come vi sia un oggettivo impedimento da parte del datore di lavoro a far lavorare e mettere in contatto chi non si vaccini con gli altri lavoratori.
Soluzione, quella legislativa, anticipata già in via giurisprudenziale dalla Cassazione italiana, con ordinanze n. 79833-79834 e 79835 del 16 agosto 2021, ispirata a buon senso (civico e morale) e comunque orientata al principio generale della tutela de lavoratore.

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