Di recente, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite si è espressa sulla modalità d’interpretazione della clausola inserita in un’assicurazione sulla vita, con la quale vengono individuati come beneficiari i futuri eredi (legittimi che testamentari) dell’assicurato.
In particolare, il Giudice nomofilattico ha preso posizione sulla natura del credito sorto in capo agli eredi e, di conseguenza, sulla misura del beneficio indennitario da corrispondere nell’ipotesi di concorso tra più beneficiari.
Nell’ipotesi oggetto di scrutinio, un uomo stipulava quattro polizze sulla vita indicando come beneficiari gli eredi legittimi. Alla morte, si trovavano a succedergli un fratello e suoi 4 nipoti, quali discendenti legittimi (figli) dell’altra sorella, a lui premorta.
A seguito del decesso dell’assicurato, il fratello chiedeva all’assicurazione la metà dell’indennizzo, in proporzione alla sua quota ereditaria, sostenendo che ai quattro nipoti, figli della sorella premorta, sarebbe spettata la restante metà dell’indennizzo da ripartire tra loro, in applicazione della disciplina della rappresentazione.
Ad avviso del coerede, dunque, nel pagare l’indennizzo, la Società assicurativa avrebbe dovuto seguire le regole proprie del diritto successorio.
Al contrario, secondo la compagnia assicurativa, l’indennizzo andava diviso in parti eguali tra tutti i beneficiari.
La questione, che già da tempo era dibattuta sia in dottrina che in giurisprudenza, è stata quindi rimessa alle Sezioni Unite, chiamate a dirimere le seguenti questioni:
a) se in materia di assicurazione sulla vita in favore di un terzo, in presenza della diffusa formula contrattuale, genericamente riferita ai “legittimi eredi”, detta espressione sia meramente descrittiva di coloro che, in astratto, rivestono la qualità di eredi legittimi o se debba intendersi, invece, che sia riferita ai soggetti effettivamente destinatari dell’eredità;
b) se la designazione degli eredi in sede testamentaria possa interferire, in sede di liquidazione di indennizzo, con la individuazione astratta dei legittimi eredi;
a) nell’ipotesi sub b), se il beneficio indennitario debba seguire la misura delle quote ereditarie spettanti ex lege o se la divisione dell’indennizzo debba avvenire in parti uguali tra i beneficiari, stante la natura di “diritto proprio”.
Nel decidere, la Corte ha ripercorso alcuni suoi precedenti indirizzi giurisprudenziali. Dapprima la sentenza n. 9388 del 1994, secondo la quale nel contratto di assicurazione sulla vita, la disposizione contenuta nell’art. 1920, terzo comma, c.c. deve essere interpretata nel senso che il diritto del beneficiario trova fondamento nel contratto stesso ed è autonomo.
Pertanto, secondo tale indirizzo, il diritto del beneficiario nascerebbe dal contratto e non deriverebbe da quello del contraente per successione a causa di morte.
Nella citata decisione, la Cassazione aveva affermato, poi, che l’indicazione generica di “eredi” varrebbe unicamente per individuare i beneficiari, senza un vero rinvio alla disciplina successoria.
Con la conseguenza che, in assenza di uno specifico criterio di ripartizione, le quote dovrebbero presumersi uguali.
In netto contrasto con questo orientamento più risalente, si erano invece poste sentenze più recenti, tra cui la n. 19210 del 2015, in forza della quale la Cassazione aveva ritenuto che la designazione degli “eredi” come beneficiari rinviasse anche alle quote di ripartizione dell’eredità e, quindi, che la suddivisione dovesse avvenire in base alle proporzioni delle quote successorie.
Ricostruiti i principali e contrastanti indirizzi giurisprudenziali, la Cassazione ha quindi risolto i quesiti prospettati innanzi come segue.
Con riferimento alle prime due questioni, la Corte ha affermato che si considerano eredi quelli che sono tali al momento della morte dello stipulante, essendo irrilevanti le successive vicende riguardanti l’accettazione o la rinuncia dell’eredità.
In secondo luogo, ha riconosciuto che la designazione degli eredi come beneficiari è un atto inter vivos con cui viene attribuito un diritto di credito la cui fonte è il contratto, conseguentemente non si applicano le norme della comunione ereditaria.
In altre parole, la qualifica di “erede” non implica, in caso di pluralità di eredi, l’applicazione tra gli stessi delle regole di ripartizione dei crediti ereditari.
Infatti, “nella polizza di assicurazione sulla vita a favore di terzo la legge non riscontra un trasferimento immediato dal contraente al beneficiario, in quanto la prestazione promana dal patrimonio dell’assicuratore e non dall’asse ereditario dell’assicurato”.
Per quanto riguarda invece la terza questione, avendo chiarito che il credito indennitario nasce dal contratto, il contraente (cioè l’assicurato) è libero di stabilire in quali misure o proporzioni debba suddividersi l’indennizzo tra i beneficiari.
La designazione degli eredi come beneficiari dell’assicurazione comporta che la prestazione assicurativa abbia come destinatari una pluralità di soggetti (creditori), a cui spetta una quota uguale.
Nel caso in esame, quando il contraente che aveva stipulato le polizze sulla vita muore, la sorella era già deceduta. Pertanto, indicando quali beneficiari gli eredi legittimi, egli faceva riferimento al fratello e ai nipoti (figli della sorella defunta), i quali non subentrano alla madre per rappresentazione, ma vantano un diritto iure proprio nascente dal contratto.
Per questa ragione deve concludersi che la ripartizione dell’indennizzo non deve essere effettuata in base alle rispettive quote ereditarie, originando il diritto di credito di ciascun beneficiario dal contratto assicurativo, ma deve avvenire in parti uguali.