ADOZIONE DI MAGGIORENNE E SUPERAMENTO DEL LIMITE DI ETA’

Finalmente in presenza di un forte legame affettivo, o di vincoli personali tipici familiari, si può derogare al criterio del limite d’età nell’adozione di maggiorenne.
A questo è approdata la Suprema Corte con la sentenza n. 07667/2020, la quale, dopo oltre 20 anni, si è pronunciata in merito all’adozione di maggiorenne, offrendo così, nuovi spunti su un tema molto dibattuto che da sempre suscita interessanti riflessioni.

La vicenda nasce da un ricorso per Cassazione promosso avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bologna, la quale confermando quanto stabilito in prima cure, ha rigettato la domanda di adozione proposta dal “padre” della figlia della compagna convivente, da lui cresciuta come propria fin da quando, (rimasta orfana di padre a sei anni), aveva 12 anni. A fondamento delle motivazioni, il Giudice adduceva l’assenza della differenza minima di età di 18 anni tra adottante ed adottato, non giustificata da alcuna ragione speciale capace di derogare al requisito legale dell’intervallo minimo d’età richiesto dalla norma.

Il ricorso per Cassazione promosso dall’adottante constava di alcuni passaggi fondamentali:

  • in primis veniva denunciata l’illegittimità costituzionale dell’art. 291 c.c. nella parte in cui non consente al giudice alcuna discrezionalità nel derogare al limite del divario di età, violando così l’art. 2 Cost., in relazione alla capacità di autodeterminarsi sia come singolo individuo (diritto al nome, alla libertà d’espressione ecc.), sia nelle formazioni sociali quali ad esempio la famiglia, tenuto conto che l’adottanda si sente a tutti gli effetti figlia dell’adottante di cui vorrebbe portare il cognome.
  • Altro interessante momento di riflessione è offerto dal secondo motivo di ricorso, in merito alla mancata disapplicazione dell’art. 291 c.c. poiché in contrasto con le norme di diritto comunitarie e sovranazionali, (nello specifico gli artt. 7 e 8 della CEDU), in ordine alla tutela dei valori della vita privata e familiare.
    Ebbene, per ciò che attiene al primo motivo di ricorso, la Cassazione, disattendendo l’eccezione di legittimità costituzionale, lo respingeva perché, come già fatto nel 1993, aveva ritenuto infondata la questione formulata sull’erronea premessa che l’adozione di maggiorenne e quella di minore avessero, in sostanza, la stessa funzione. A ben vedere, in ragione della differente disciplina che caratterizza in modo diverso i due istituti, ma anche la funzione e l’ampiezza dei poteri in capo al giudice, le differenze tra i due istituti sono chiare, nette. Innanzitutto l’adozione di minore ha l’obiettivo di tutelare l’interesse del bambino a vivere in un ambiente familiare stabile, armonioso, in un contesto affettivo ed educativo tale da sviluppare la propria personalità ed è perciò “caratterizzata dall’inserimento nella famiglia di definitiva accoglienza e dal rapporto con i genitori adottivi, i quali, assumendo la responsabilità educativa del minore adottato, divengono titolari dei poteri e dei doveri che caratterizzano la posizione dei genitori nei confronti dei figli”. Al contrario, l’adozione di maggiorenne “non implica necessariamente l’instaurarsi, o il permanere, della convivenza familiare né tanto meno comporta obblighi di mantenimento o educativi”.
    La Corte ha invece accolto il motivo di ricorso in merito alla mancata applicazione delle norme comunitarie. A tal proposito è interessante analizzare il ragionamento logico – giuridico promosso dalla Consulta e per fare ciò innanzitutto è necessario aprire una piccola ma fondamentale parentesi e chiarire che tra l’adottante e l’adottata intercorre una differenza di età di 17 anni e 4 mesi, (e dunque quasi di 18) e che quest’ultima, figlia della convivente del ricorrente, vive con lui sin da quando aveva sei anni, così formando un nucleo familiare compatto e consolidato da oltre 30 anni.
    A questo punto la domanda sorge spontanea: come può non intendersi derogabile – a fronte di un divario di età così labile – il criterio del limite di età tra i due soggetti coinvolti.
    Ebbene, l’art. 291 c.c., nel richiedere la presenza della differenza di 18 anni tra i due soggetti, appare oggi giorno come una limitazione a dir poco ingiusta posto che la funzione dell’adozione di maggiorenne ha perso la sua originaria configurazione, datagli nel 1942, di riconoscimento giuridico volto a garantire una continuità della casata, per cedere il passo ad un riconoscimento – anche – giuridico di un legame affettivo ed identitario tipico familiare tra soggetti che, seppur maggiorenni, sono evidentemente “legati da vincoli personali saldi, morali e civili”.
    In questo mutato contesto sociale, il rigido ed inderogabile limite dei 18 anni appare un ostacolo ingiustificato ed ingiustificabile all’adozione dei maggiorenni.

La portata innovativa della sentenza n. 07667/2020 sta nel riconoscere, seppur in via indiretta, i concetti di proporzionalità, ragionevolezza e bilanciamento, anche là dove vi sia una regola che descrive una fattispecie linguisticamente chiusa, predeterminata e apparentemente chiara che non avrebbe bisogno di essere interpretata. Per meglio comprendere può formularsi un esempio di questo tipo: si immagini di leggere un cartello all’ingresso di un cinema che recita “vietato l’ingresso ai minori di 16 anni”. Ebbene quel cartello ha lo scopo di tutelare i minori in quanto il film in sala è ricco di scene particolarmente crude. Ora, un divieto di tale portata, apparentemente, non avrebbe bisogno di essere interpretato. Ebbene, a questo punto si immagini la situazione in cui quel divieto venga letto da un minore di anni 15 e 11 mesi che ha certamente sviluppato una capacità di discernimento pressoché identica al sedicenne. Il divieto allora si applica anche a lui? E per un neonato in braccio alla mamma che decide di assistere alla proiezione del film? La regola “chiara” si applica anche a lui che non ha, evidentemente, comprendere nulla del film così crudo e violento? La risposta a tutti questi interrogativi sta nell’importanza dell’analisi del caso concreto, cioè nell’attenta valutazione di tutte le componenti di un problema e nel tentativo di ricercare il “migliore diritto possibile” applicabile. E infatti la pronuncia della Corte, riconoscendo la possibilità di deroga, dimostra come il diritto si muove al passo con i tempi e non si risolve in una semplice analisi del “linguaggio” distante da interessi e valori concreti ed effettivi.

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