È legittima la decisione del conduttore di un immobile di non corrispondere, sospendere o ridurre l’importo del canone di locazione per il tempo in cui ragioni di tutela della salute pubblica gliene impediscono la fruizione?
A seguito dei recenti interventi ministeriali di limitazione dello svolgimento dell’attività d’impresa, molti conduttori di immobili ad uso diverso da quello abitativo potrebbero considerare la possibilità di non corrispondere il canone mensile di locazione o, per lo meno, di limitarne l’importo, giacché i predetti provvedimenti hanno precluso lo svolgimento dell’attività economica, cui il bene immobile è funzionale.
Vari operatori del settore, quindi, hanno cercato di individuare le norme applicabili alla situazione in esame, provando a rispondere al quesito ricorrente circa la potenziale esistenza di un diritto di auto-riduzione del canone di locazione dell’immobile destinato ad attività d’impresa.
Sul punto, giova precisare, la regola generale è che la c.d. autoriduzione del canone costituisce fatto arbitrario e illegittimo del conduttore, che provoca il venir meno dell’equilibrio sinallagmatico del negozio, anche quando l’omesso versamento del canone periodico o la sua riduzione sia stata effettuata dal conduttore per ripristinare l’equilibrio del contratto.
Tale regola, ampiamente adottata dai tribunali italiani, trova la sua ragion d’essere nel fatto che né il locatore, né il conduttore, possono unilateralmente modificare il contenuto di tutto o parte dell’accordo (come sarebbe nell’ipotesi di modifica dell’importo del canone di locazione).
Eventuali modifiche al ribasso, salvo clausole contrattuali che prevedono in senso difforme, sarebbero possibili soltanto mediante la rinegoziazione dell’accordo fra le parti (per il tramite di un nuovo accordo o di un accordo modificativo del precedente), che si palesa, anche nell’ipotesi in esame, come l’unica soluzione possibile per tentare una reale e tempestiva riduzione del canone di locazione. Ovviamente, in assenza di accordo e\o di disposizioni speciali (sino ad ora non adottate, eccetto la previsione di un credito di imposta di cui si dirà in seguito), le norme generali del codice civile in materia d’obbligazioni e contratto continuano a trovare applicazione.
- In particolare, taluni ritengono che la situazione in esame possa portare all’applicazione della disciplina dell’impossibilità sopravvenuta temporanea e/o parziale (con conseguente risoluzione o sospensione del contratto), oppure dell’eccessiva onerosità sopravvenuta (con conseguente risoluzione o riconduzione ad equità delle condizioni economiche).
- Secondo altri, il conduttore dell’immobile commerciale locato, non fruibile in forza delle limitazioni previste dai dpcm del marzo scorso, potrebbe invocare a giustificazione del mancato pagamento l’art. 1256, comma 1, in forza del quale “l’obbligazione (di pagare il canone di locazione) si estingue (non è più dovuta) quando, per una causa non imputabile al debitore (conduttore), la prestazione diventa impossibile (non può più pagare)”.
In verità, l’applicazione della predetta norma al caso in esame non si ritiene calzante per i seguenti motivi: l’impossibilità sopravvenuta riguarderebbe l’obbligo del conduttore di pagare il canone ed andrebbe individuata nell’assenza di liquidità derivante dalla chiusura forzata dell’attività d’impresa. Si tratterebbe, quindi, di una momentanea assenza di liquidità, la cui presenza sarebbe inidonea a integrare una causa di forza maggiore, liberatoria del vincolo contrattuale. Inoltre, è bene precisare come la giurisprudenza, normalmente, non applichi tale norma alle obbligazioni pecuniarie, il cui adempimento è astrattamente sempre possibile, essendo il denaro bene fungibile. - Invero, proprio in considerazione della provvisorietà dell’emergenza, è certamente più ragionevole ritenere che nel caso in esame possa trovare applicazione l’art. 1256, comma 2, secondo cui “Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento”. In forza di tale disposizione, quindi, il conduttore che non riuscisse a pagare il canone di locazione perché impossibilitato nello svolgimento della propria attività e, di conseguenza, nell’acquisizione delle relative utilità necessarie ad adempiere le proprie obbligazioni, non potrebbe essere considerato responsabile per il ritardo (non sarà chiamato a pagare interessi e danni derivanti dall’omesso pagamento dei canoni per il periodo di emergenza), sempre che dimostri le circostanze addotte a giustificazione del momentaneo inadempimento. Tuttavia, cessato lo stato emergenziale, dovrà corrispondere i canoni non pagati, che restano dovuti ed esigibili.
- Altri ancora ritengono applicabile l’art. 1258 c.c., con cui si disciplina l’impossibilità parziale di adempiere, prevedendosi che “se la prestazione è divenuta impossibile solo in parte, il debitore si libera dall’obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile”. Ritenendosi applicabile detta norma, sarebbe possibile considerare il conduttore libero dal pagamento della parte di prestazione divenuta impossibile (canoni di locazione maturati nel periodo di emergenza sanitaria e chiusura forzata dei locali). In verità, anche l’applicazione del suddetto articolo al caso in esame sconta non poche remore, soprattutto perché, come si diceva, la momentanea assenza di liquidità necessaria a pagare il canone difficilmente sarebbe ritenuta idonea ad integrare una causa di definitiva impossibilità di eseguire parte della prestazione.
- Ulteriore possibilità potrebbe essere fornita dall’art. 1464 c.c., in materia di impossibilità sopravvenuta parziale, ai sensi del quale: “quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale”. Anche in questo caso, però, l’applicazione della disposizione al caso in analisi sconta non poche perplessità, soprattutto perché, in ipotesi di locazioni già protrattosi nel tempo, il locatore ha correttamente adempiuto la propria obbligazione (cessione momentanea del godimento del bene). Pertanto, difficilmente potrebbe ritenersi che la prestazione del locatore sia divenuta parzialmente impossibile, dato che il mancato soddisfacimento degli interessi del conduttore è stato dipeso esclusivamente dai provvedimenti governativi, in difetto dei quali lo stesso avrebbe potuto sfruttare l’immobile. Ciò posto, si ritiene che anche tale disposizione non potrebbe operare rispetto alla situazione in esame, perché difetterebbe l’elemento della parziale impossibilità di realizzare la prestazione posta in capo al locatore che, invece, ha correttamente ceduto il godimento del bene.
- Altro discorso merita la possibilità di applicare l’art. 1467 c.c., ai sensi del quale “Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto”, con effetto immediato fra le parti, fatte salvi gli atti di esecuzione antecedenti. Si ritiene, infatti, che qualora la sospensione generalizzata di tutte le attività commerciali si protraesse per un lasso di tempo rilevante, tale circostanza potrebbe essere effettivamente considerata come causa di diminuzione straordinaria ed imprevedibile del valore dell’immobile commerciale locato. L’eventuale sproporzione tra valore della locazione e canone (che comunque, dovrebbe essere valutata anche tenendo conto dei benefici fiscali ed assistenziali previsti dal governo) potrebbe essere ritenuta circostanza sufficientemente giustificativa della risoluzione contrattuale, con effetto immediato fra le parti.
In definitiva occorre quindi una attenta valutazione caso per caso per comprendere quale può essere la soluzione migliore da adottare tra le varie ipotesi normative prospettate.